Verso un altro Sud: Alan Lomax, dal Texas alla Sicilia
di Livio Marchese
Articolo tratto da SCORCI rivista siciliana di varia umanità - anno IV, giugno 2024, n. 7 per contatti scorcirivista@gmail.com
Ringraziamo l'autore e la redazione di "Scorci" per l'autorizzazione alla pubblicazione
Verso un altro Sud: Alan Lomax, dal Texas alla Sicilia[1]
1. Il folklorista sentimentale
Una volta che ti abitui ad andare in giro a registrare,
è difficile smetterla. Si crea un’intimità
paragonabile all’amore. La persona che canta
ti trasmette i sentimenti più profondi
e se si tratta di un cantante popolare
questi sentimenti lasciano intravedere
il carattere di tutta una comunità[2].
A. Lomax
Aprile 1954. Un pullmino Volkswagen mezzo scassato, carico di avveniristiche apparecchiature per la registrazione del suono, percorre l’Italia da nord a sud, puntando verso Roma. Al volante un insolito personaggio dalla corporatura imponente che si esprime in un curioso “itagnolo”, una sorta di spagnolo malamente italianizzato. Lo accompagnano la moglie Elizabeth – da cui in realtà si è già separato – e la figlioletta Anna. Scopo del viaggio: aggiungere un ulteriore tassello al mosaico di un’opera ambiziosa – la documentazione delle tradizioni musicali di tutto mondo – che da qualche anno sta tenacemente portando avanti per la collana World Library of Folk and Primitive Music, edita dalla lungimirante Columbia Records negli anni in cui l’etnomusicologia si afferma come disciplina universitaria.
Il soggetto in questione, Alan Lomax, all’epoca alle soglie dei quaranta, in America è già una celebrità. La sua carriera di ricercatore freelance, infaticabile e anti-accademico, era iniziata durante la Grande Depressione quando, insieme al padre John, un pioniere nello studio del folklore americano, aveva battuto in lungo e in largo le polverose strade del sud degli States – dal Texas al Kentucky, passando per Louisiana, Mississippi, Tennessee –, per conto della Library of Congress, a caccia di documenti sonori che testimoniassero il ricchissimo repertorio musicale locale:
[Go down Old Hannah] è la prima registrazione che facemmo per la Biblioteca del Congresso. Io avevo già ascoltato tutte le sinfonie del mondo e tutta la musica da camera e il miglior jazz e pensai: questa musica è ancora meglio! C’erano cinquanta neri che lavoravano, duramente sorvegliati da uomini armati e… ancora avevano il coraggio di cantare la canzone più bella che avessi mai sentito…[3]
Se il padre, dal punto di vista politico, si collocava su una posizione conservatrice caratterizzata da un paternalismo tipicamente meridionale, Alan era invece animato da un sincero slancio umanitaristico e da una visione apertamente progressista, ritenendo che il folklore fosse anzitutto uno strumento per cambiare il comune modo di pensare:
Il folklore potrebbe rivelarsi non un’accozzaglia romantica e colorata delle idee scartate e logore dell’umanità, ma una delle grandi sorgenti degli atteggiamenti democratici che negli ultimi due secoli hanno iniziato a rendere più equa la vita per tutta l’umanità su questo pianeta[4].
Particolare interesse i Lomax avevano dedicato alle tradizioni musicali dei neri americani, che già allora sentivano minacciate dall’egemonia bianca:
Il negro del sud è il bersaglio d’influenze così complesse che è difficile trovare un canto popolare genuino. I suoi leader educativi, ampliando i suoi concetti e facendolo così vergognare o prendere coscienza della propria arte; i suoi leader religiosi, che si allontanano dai canti revivalisti, dagli spirituals e dalle funzioni religiose informali per dedicarsi agli inni e alle modalità formali della chiesa, inveendo contro qualsiasi canzone che abbia a che fare con argomenti secolari; i membri benestanti della comunità, sostenuti dalla chiesa e dalle scuole che deridono l’ingenuità delle canzoni popolari e gettano inconsciamente il peso della loro influenza sulla bilancia contro tutto ciò che non è modellato sulla cultura borghese bianca; la radio con il suo flusso di jazz, creato nelle sale da tè a beneficio dei bianchi che vivono in città: tutto ciò sta uccidendo le migliori e più genuine canzoni popolari negre[5].
Intenzionati a raccogliere le testimonianze più autentiche della musica afroamericana, i Lomax avevano orientato le loro ricerche verso le tremende prigioni del Sud[6], dove i neri vivevano e lavoravano in condizioni spaventose, spesso isolati dai bianchi. Lì sarebbe stato possibile registrare quelle canzoni «che sono il più delle volte, sintesi epiche degli atteggiamenti, dei costumi, delle istituzioni e delle situazioni della grande popolazione proletaria che ha contribuito a creare il Sud culturalmente ed economicamente [7]». Ed è proprio in uno di questi lager, il famigerato Angola[8] (ovvero il Louisiana State Penitentiary), che padre e figlio si erano imbattuti in Huddie Ledbetter, meglio noto come Lead Belly, l’autoproclamato “Re della chitarra a dodici corde” che contribuiranno a rivelare a tutta la nazione, a partire dalla borghesia bianca newyorkese.
Arruolato nel New Deal rooseveltiano insieme agli intellettuali statunitensi più avanzati, in quegli anni frenetici di esplorazioni, avventure, incontri, fields recording, conferenze, organizzazione di spettacoli ed esibizioni musicali in prima persona, sono innumerevoli i personaggi – dai nomi oggi leggendari per chi ama il prewar folk – che Lomax conosce, intervista, documenta e promuove. Due per tutti: Aunt Molly Jackson, tra i membri più agguerriti della comunità dei minatori di Harlan, Kentucky, grande autrice di canzoni di lotta nonché depositaria della tradizione musicale degli Appalachi; Woody Guthrie, incontrato il 25 febbraio 1940 a New York in occasione di una serata di beneficienza per i rifugiati spagnoli [9]. L’incontro frutterà una lunga amicizia e una collaborazione proficua, il cui esito discografico più significativo è rappresentato da Dust Bowl Ballads, una raccolta di canzoni in parte scritte di getto da Guthrie dopo aver assistito, dietro suggerimento di Lomax, alla proiezione di Furore, il capolavoro di John Ford tratto dall’omonimo romanzo di Steinbeck che aveva rivelato a tutto il mondo il destino di migliaia di contadini costretti dalla crisi del mercato del lavoro, dall’inaridimento del suolo e dagli espropri dei terreni da parte delle banche a lasciare case e campi e a spostarsi per migliaia di chilometri alla ricerca di nuove occupazioni. Tragici eventi che Guthrie aveva vissuto sulla propria pelle nei lunghi anni trascorsi da hobo e che riuscirà a elaborare in forma poetico-musicale arricchendo il proprio repertorio con risultati espressivi eccezionali.
2. Un americano alla scoperta dell’Italia
L’investigazione condotta tra i vicini dimostra
che è un individuo molto strano:
si interessa solo di musica folk,
è davvero poco affidabile e scontroso. […]
Non dà alcun valore ai soldi, usa la sua proprietà
e quella del governo con negligenza,
praticamente non si cura del suo aspetto [10].
(da un fascicolo dell’FBI su Alan Lomax)
La frequentazione di ambienti prossimi alla sinistra americana aveva spinto l’FBI già a partire dal 1940 a raccogliere informazioni su Alan, finché, nel ’50, non lo includerà nel famigerato Red Channels, la lista nera contenente i nomi di 151 esponenti del mondo dello spettacolo accusati di essere comunisti o simpatizzanti. Ciò causerà a Lomax una pluridecennale sorveglianza da parte dell’FBI, diretta e perfino indiretta, come avverrà nel ’53, durante il viaggio in Spagna, da parte della Guardia Civil franchista, “imbeccata” dai colleghi d’oltreoceano.
L’uomo al volante in quella lontana primavera del ’54 è assente dal suo paese ormai da quattro anni e ne passeranno altrettanti perché vi faccia ritorno. La decisione di partire per l’Europa era stata motivata in parte dal desiderio di sfuggire alla morsa sempre più stringente del maccartismo, in parte dall’entusiasmo suscitato dall’approvazione da parte della Columbia del suo grandioso progetto. Dopo aver battuto le zone rurali di Irlanda, Inghilterra, Scozia e Spagna, la tappa successiva sarebbe stata l’Italia.
Già nel settembre del ’53 Lomax si era recato a Roma, dove aveva incontrato Giorgio Nataletti, direttore degli archivi del Centro Nazionale Studi di Musica Popolare dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, per vagliare qualità e quantità delle registrazioni già disponibili. La RAI aveva difatti avviato da alcuni anni un progetto di raccolta e catalogazione, ma il materiale reperito, come Lomax poté verificare, non copriva ancora tutte le regioni[11] e non sarebbe stato sufficiente alla pubblicazione discografica che aveva in mente. Sarebbe pertanto toccato a lui stesso svolgere le ricerche sul campo e le registrazioni: «un italiano ha scoperto l’America. E perché un americano non poteva contribuire alla scoperta dell’Italia?[12]». Ottenuto un finanziamento dalla BBC[13], il viaggio poteva iniziare.
Ed eccoci nuovamente a quell’aprile del ’54. A Roma Lomax e Nataletti svolgono i preparativi necessari al buon esito dell’impresa: mappature delle aree bisognose di maggior documentazione, appunti sulle tradizioni musicali delle varie regioni, bozza di un itinerario, stesura di lettere e telefonate a funzionari locali e personalità eminenti che Lomax avrebbe dovuto incontrare nelle varie località prima di avviare le registrazioni. Gli viene inoltre assegnato un assistente che lo affiancherà nei primi mesi come mediatore linguistico-culturale. Si tratta di Diego Carpitella, all’epoca trentenne ma già esperto etnomusicologo, nonché autore, a partire dalla pionieristica spedizione del ’52 in Basilicata, di numerose registrazioni nel Mezzogiorno, molte delle quali in collaborazione con Ernesto De Martino[14].
Alan sistema moglie e figlia a Positano, lungo la costiera amalfitana, e si appresta a partire con Diego. Tra i due, nonostante le differenze caratteriali e alcune divergenze professionali, oltre all’uso di un francese maccheronico come lingua veicolare, si stabilisce da subito una buona intesa:
Viaggiavano a tarda notte, con Alan alla guida, raggiungevano le loro destinazioni la mattina presto, di solito dormendo nel furgone. Dipendevano principalmente dal loro intuito, non prestavano attenzione alle autorità a cui erano state inviate lettere e telefonate, trascorrevano un'ora o due in un luogo, tre giorni in un altro, parlando con le persone sedute sui muri, che lavoravano nei campi, che spazzavano i gradini, o che bevevano e giocavano d'azzardo, fermandosi talvolta a parlare con persone che camminavano lungo le strade. Le autorità, infatti, rimanevano scioccate da alcuni dei soggetti da loro registrati, e spesso interrompevano per obiettare. Ma tra loro due, per quanto diversi, sembravano immancabilmente trovare buone fonti [15].
Ricordava Carpitella:
In fondo eravamo un po’ degli ambulanti, percepivamo subito il clima e andavamo a colpo sicuro nell’individuare le fonti[16].
Lomax si era ripromesso di tenere un diario per annotare minuziosamente tutti i particolari del viaggio, da quelli più scientifici, legati a interpreti, forme e strumenti musicali, a quelli più aneddotici, descrittivi e contestuali, in vista di una futura pubblicazione. Disgraziatamente, a causa di un furto al pullmino subìto in provincia di Salerno, tutti i quaderni andarono perduti ad eccezione di quello siciliano e di quello campano. La parte siciliana del viaggio in Italia è pertanto, per puro caso, una delle meglio documentate.
Negli anni ’50 la Sicilia – la prima regione a essere sondata dall’inedita coppia, per l’occasione affiancata da un certo Luigi, un aiutante locale, un «emaciato, giovane, radicale aristocratico siciliano[17]» – era ancora una terra pressoché sconosciuta al continente e al mondo intero, se si prescinde da quei soldati alleati che l’avevano percorsa in lungo e in largo e da film come La terra trema, Stromboli o Il cammino della speranza che avevano goduto di una distribuzione internazionale, contribuendo a far conoscere una realtà di miseria, privazioni e soprusi, ma anche di grande vitalità, di resistenza tenace alle avversità, di lotte sociali e rivendicazioni. Un’isola al cuore del Mediterraneo caratterizzata da una società premoderna e da un’economia agropastorale dove sopravvivevano tradizioni e usanze millenarie e dove la maggior parte delle attività lavorative veniva ancora svolta con tecniche arcaiche. Forte dell’esperienza nella registrazione dei work songs nei penitenziari americani, Lomax aveva orecchie altrettanto sensibili verso i “canti di lavoro” siciliani.
3. Tre settimane in Sicilia[18]
Lo shock della Sicilia è stato forte,
mi aspettavo un cielo morbido, un grano rigoglioso,
gente affettuosa – come a Palma [Maiorca] –
invece ho trovato un paesaggio western ostile e potente
- scogliere bruciate, gente dura –
- cielo infuocato...[19]
A. Lomax
L’esplorazione siciliana parte il 2 luglio da Sciacca, sulla costa girgentina. Lomax e Carpitella vi registrano due esecuzioni di cialoma (dal greco kéleusma), antichissimo canto di tonnara nella forma tradizionale “botta e risposta”, con la voce solista del cialumaturi che dà l’intonazione e propone i versi e gli altri pescatori che rispondono in coro con un buon margine d’improvvisazione mentre tirano su le reti. I contenuti erano di vario genere, spesso salaci. In questo caso i testi contengono curiose allusioni alla presenza dei due insoliti spettatori.
La canzone è semplicemente lì, come il vento, il mare e la terra. Non ha emozioni speciali: gioiose o tristi. È potente, dinamica, energica – una canzone per tiratori e trasportatori che non hanno tempo per le estremità dei pollici bruciate o per una pinna nella parte carnosa del braccio – ma che sono lì per tirare su il pesce fuori dal mare. Sono loro i pistoni, la canzone il motore che esplode in loro. Abbiamo scoperto il perché quando siamo andati al mare. Lì, nel bel mezzo del loro lavoro, erano trasportati dall'eccitazione e le loro voci si infrangevano contro il mare come cembali [20].
Sono uomini straordinari, sono schiavi da galea vestiti di stracci, sono gli eroi della barca di Ulisse con berretti e pantaloni da marinaio, che vogano con remi più grossi delle loro gambe e più alti di loro: vivono sul mare sotto il sole e quando è necessario hanno una terribile energia[21].
L’indomani, nell’antico porto di Trapani, raccolgono due Canti dei salinai. Negli appunti Lomax si dilunga molto nella descrizione del lavoro, soffermandosi sugli effetti corrosivi del sale sulla pelle, aggravati dal sole cocente e dallo scirocco, che costringevano gli uomini – organizzati in squadre e pagati a canestro – a cominciare il lavoro tra le due e le tre di notte, muovendosi al buio «come i morti», e accompagnandosi con «un lamento spinto fuori dal corpo del cantante mentre la cesta diventa sempre più pesante sulle sue spalle. Una delle più antiche e primitive lamentazioni del Mediterraneo, cantata con una voce strozzata e in falsetto acuto, che permette ai cantanti di ornare e decorare le melodie con scosse, singhiozzi e gemiti prolungati alla fine del verso – molto africano[22]».
Allontanatisi dalla costa occidentale, oltrepassano Palermo e s’inerpicano sulle Madonie. A Geraci Siculo, a oltre 1000 metri d’altitudine, registrano una Ninna nanna, «un’affettuosa minaccia di sculacciare un bambino che non vuole dormire[23]». Dopo un’altra sosta nell’entroterra ennese, a Nicosia, dove registrano un’altra Ninna nanna – questa volta dal sostrato linguistico e musicale gallo-italico – e un canto contadino A la nicusiota – caratterizzato da voci che si alternano e tematica relativa al corteggiamento –, tra il 5 e l’8 luglio fanno base a Caltanissetta per esplorare il bacino minerario circostante. A Sommatino rinvengono due testimonianze di Surfarara: il primo canto, accompagnato da un marranzano, esprime la sofferenza e l’autocommiserazione dello zolfataro per il suo destino di solitudine e di abbandono[24]; il secondo, probabilmente raccolto in un’osteria di zolfatari, è una dichiarazione d’amore. Interessanti le note di Lomax sul soggiorno nell’area delle zolfare. Da premettere che il texano era solito retribuire le esibizioni dei cantori attingendo al budget messogli a disposizione dalla BBC: nelle note di spesa, a Sommatino, risultano segnate anche 1000 lire per la «maffia[25]»…
A volte i sindaci dei paesi che visitavamo facevano sapere alla gente del luogo che un americano sarebbe arrivato per registrarli, e ciò in un paese creò una situazione davvero pericolosa, data l’estrema povertà di quel periodo. La notizia era andata in giro, e quando arrivammo nella piazza principale una folla di quattro o cinquecento persone era lì ad accoglierci. Molti incominciarono a battere i pugni sugli sportelli del furgone, chiedendo di essere immediatamente ascoltati dal ricco americano. Io feci marcia indietro e mi nascosi; poco dopo feci salire furtivamente nel Volkswagen un paio dei migliori cantori delle miniere di zolfo, insieme a due loro amici, e così lasciai il paese. Per errore, organizzammo la seduta di registrazione al buio, sotto un ponte della ferrovia, lontani da tutto. Durante le registrazioni il “capo”, che era un individuo enorme dallo sguardo minaccioso, ci fece sapere che ci avrebbero derubati, uccisi e avrebbero preso tutti i nostri soldi e le apparecchiature. Il tipo aveva continuato a disturbare le registrazioni e, con grande fastidio, vidi Luigi camminare su e giù per la strada vicina abbracciato a quello scostumato. Non sapevo che cosa stesse succedendo: Luigi lo stava convincendo che suo padre era un boss della mafia a Palermo, che avrebbe apprezzato tutti i favori locali che gli fossero stati rivolti. Quel gigante assetato di sangue tornò indietro e, invece di darmi una pugnalata, mi abbracciò con calore e mi baciò su tutt’e due le guance[26].
Lomax era del resto pienamente consapevole dell’ostilità che la sua presenza, in quanto americano, avrebbe potuto scatenare in una terra solo pochi anni prima devastata dalle bombe alleate:
Questo è un paese nel quale gli americani ovviamente non piacciono, se non per i loro soldi. Io cerco di passare per francese quando è possibile. Si ricordano le bombe, i Gls, le promesse non mantenute. […] Non molto tempo fa la ballata siciliana più popolare era su un arrogante investigatore privato americano che arrivò qui per prendere il suo uomo e finì in una bara [27].
Nella Sicilia di allora anche le opere della campagna come ’U pisari (la trebbiatura) e ’U metiri (la mietitura) venivano ancora svolte con sistemi arcaici: il primo, con il supporto di asini, cavalli o buoi; il secondo, a mano, da mietitori organizzati in squadre. In entrambi i casi il lavoro era accompagnato e ritmato da canti di vario genere. Nella fattispecie, sempre a Sommatino, Lomax e Carpitella registrano una canzone di “sdegno” contro uno sposo, e un lamento della Passione di Cristo, in osservanza alla consuetudine di invocare la protezione di Dio e dei santi nei momenti che scandivano la giornata lavorativa.
Il 9 luglio arrivano in territorio etneo, sul versante ovest, nei pressi della Ducea di Nelson:
Quando l'Etna appare in vista l'aria secca cambia. La coltre di calore secco e di polvere viene lasciata alle spalle. Inizia a soffiare un vento fresco. Verdi vigneti premono sui pendii. E le città si addensano tra i fertili e minacciosi fiumi di lava nera, alcuni antichi, altri recenti fino a due anni fa. I nuovi fiumi di appena due anni si stanno ricoprendo di sabbia; i vecchi sostengono limoneti e vigneti. […] Qui le pendici vulcaniche sono ricche anche di musica. C'è una grande cornamusa, fatta con la pelle di un’intera pecora, con quattro canne – due delle quali vengono suonate – una è un bordone e l'altra è un soffietto [28].
A Maletto registrano un paio di suonate per ciaramedda – una delle quali contiene una variazione sul tema di Bandiera rossa – e uno stornello improvvisato da un contadino accompagnato da un coro, il cui tema è un invito rivolto a una donna avvenente a mostrarsi alla finestra, condito da allusioni erotiche. Da Maletto aggirano il vulcano in direzione nord-est, puntando poi verso il mare. Se la maggior parte dei cantori incontrati dai due ricercatori suona oggi anonima, il giorno seguente, a Riposto, sul litorale ionico, essi incontrano un monumento vivente della tradizione musicale della Sicilia orientale. Lomax lo descrive così:
Una visita al poeta del paese – paralizzato durante l’ultima guerra[29] – che viaggia in Sicilia e Calabria su un camioncino, con le sue chitarre, un cartellone con sopra disegnata la storia della sua ultima ballata e i fogli volanti delle canzoni che ha scritto.
A causa di una paralisi, il suo collo pende da un lato, ma ha una testa grande, ben formata, bella, penetranti occhi marroni, intensi e teneri, e le arie di un artista. Pensa che il suo materiale sia buono quanto quello di qualsiasi scrittore. Viene trasmesso regolarmente alla radio, e conserva lettere di ammiratori che è orgoglioso di mostrare. Vive in una stanza dipinta di rosa con disegni di fiori colorati. Sposato con cinque bambini, nessuna pensione, non può andare fuori casa durante l’inverno perché il freddo lo fa stare male[30].
Di Orazio Strano, il decano dei cantastorie siciliani del ’900, Lomax e Carpitella catturano su disco La storia di Cicciu Ulivieri – un poema narrativo in sestine a rima ‘ncruccata che racconta la strage di un intero nucleo familiare per mano di un malvagio assassino – e Ciuri di pipi messinesi, una forma particolare di stornello satirico, «piccante e pungente come grani di pepe [31]», diffuso a Messina in occasione del Carnevale da parte di «violinisti mascherati che si aggiravano per le vie della città improvvisando versi augurali, spesso davanti ai negozi, nella speranza di gratuità di cibo e denaro. Se non ricevevano il pagamento della speranza, i ciuri potevano diventare piuttosto salaci e addirittura offensivi[32]». Nel caso specifico si tratta tuttavia di un “augurio matrimoniale”.
Lo stesso giorno, diretti verso sud, fanno tappa a Catania dove registrano una Marranzanata e un Valzer suonato da flauto di canna, chitarra, fisarmonica e tamburello. L’indomani, l’11 luglio, raggiungono Avola per incontrare le donne addette alla selezione delle mandorle, delle quali immortalano una ballata nello stile dei cantastorie adattata a canto di lavoro:
Dodici giovani ragazze sedute a un tavolo basso in una grande stanza lavoravano con meravigliosa cura, smistando tracce di mandorle dolci in sacchi: mucchi di mandorle marrone dorato sul tavolo. Stanno sistemando i pezzi rotti e cantando nel modo tranquillo, gioioso e triste che hanno le giovani donne[33].
L’incursione verso il sud dell’isola si conclude il giorno seguente, a Modica, con la registrazione di una Tarantella guidata da un flauto di canna, di una Tammurinata eseguita per la festa di San Giuseppe da due tamburi di timbro diverso e di una Nnuena, un canto narrativo che accompagnava le celebrazioni religiose nella settimana precedente il Natale, eseguito dal banditore comunale, Luigino Scollo, cantore cieco dal timbro gutturale particolarmente espressivo. Nello specifico il brano raccolto è un estratto del Viaggiu dulurusu di Maria Santissima e lu patriarca San Giuseppi in Betlemme, composto alla metà del ’700 da Antonio Diliberto, canonico di Monreale. Ancora a Modica incidono un lacerante canto alla Carrittera, i cui aspri versi parlano della durezza del mestiere e del rapporto tormentato con il proprio animale da tiro:
Nu fazzu cchiù lu carritteri,
picchì lu cavaddu ca l’î ttirari.
Nta ni l’acchianata di Mussumeli,
si stocca suttapanza e pitturali.
A l’acqua lu pottu e nun voli bbìviri,
la canigghia cci rugnu e nno u mmanciari.
Bbacchittati cci rugnu a li so peri,
tira cavaddu nc’ora nn’amm’a iri,
E t’accuitari!
Quannu mPalermu c’ìa sulu,
cc’èrinu aranci e nni cumprava un granu.
Tu si figghiu di vastaddu mulu
e tu si […] cavaddu palermitanu[34],
Qualche giorno dopo, sulla strada per Palermo, i due ricercatori deviano ancora una volta verso le Madonie. Ad Alimena raccolgono un altro canto della trebbiatura, contenente grida di incoraggiamento rivolte al mulo, testimonianti la terribile pesantezza del lavoro che l’animale era costretto a svolgere:
Due uomini cantavano canzoni da aia guidando un povero mulo […]. Quando siamo partiti il mulo era ancora a terra, stanco morto[35].
A Petralia Sottana incidono invece l’accompagnamento strumentale – friscalettu, fisarmonica, chitarra e tamburello – di un Ballu da curdedda, danza caratteristica del paese, eseguita tradizionalmente durante i matrimoni o in occasione di raccolti abbondanti. Ridiscendendo dalle Madonie verso la costa tirrenica, il 19 luglio si trattengono a Bagheria per registrare due canti alla Carrittera: nel primo, un innamorato si reca in visita presso l’abitazione dell’amata per donarle un fazzoletto; nel secondo, di nuovo una lirica d’amore, l’amante sublima attraverso un’immagine poetica il desiderio di fecondare la propria donna.
Le cose più belle in Sicilia sono, ovviamente, i carri contadini, tutti dipinti da uno o due artisti emaciati e dagli occhi gentili che vivono in una città moresca vicino a Palermo. Il paesaggio qui è olivastro, marrone, ocra e paglia. Su questo sfondo si muovono i carri contadini […].
E in cima al carretto sobbalzante e dondolante siede un uomo che canta a voce alta, forte e solitario tra sé, così che puoi sentire la voce acuta un miglio prima che il carro venga in vista...
La tappa nel capoluogo isolano è molto importante perché a Palermo incontrano un altro personaggio di spicco del folklore siciliano dell’epoca, il cuntastorie Roberto Genovese, specializzato nelle storie dei paladini di Francia che attingeva dall’allora celebre volume di Giusto Lodico, risalente alla metà dell’Ottocento e fonte primaria dell’Opera dei Pupi. In inverno Genovese faceva il cuoco, mentre in estate si recava al parco dove era solito esibirsi in popolarissimi cunti della durata di circa due ore ai quali assistevano ammiratori provenienti anche da lontano.
Qui sotto le palme e i sicomori c’è una piccola piazzetta con panchine, qui siedono l’anziano, l’ammalato, il disoccupato e il giovane – l’ultimo pubblico del giullare di Palermo. Ha circa 45 anni. Capelli neri, occhi neri, un tempo avvenente, ma adesso la sua faccia è segnata dallo sforzo delle continue recite. […] Siede su una piccola panca bassa […]. Ma nella sua mano impugna una spada di legno. E dal suo volto strano ed espressivo salta fuori il poema di Rolando, l’Orlando furioso. Non appena il poema e il racconto si fanno strada in lui, i suoi occhi diventano strabici per la concentrazione, per la lontananza; a causa dell’intensità della sua visione interiore la sua faccia abbastanza gentile, cinica e amara si trasforma nel volto di un barbaro che pensa soltanto a raggiungere e uccidere il suo nemico. Poi ripiomba nel ritmo dei versi, il suo collo ha i muscoli in rilievo, la faccia diventa legnosa, ha la schiuma agli angoli della bocca […].
La spada incomincia a girare in aria; lui muove le mani, fa gesti per indicare la distanza, l’inseguimento, il combattimento, la preparazione per la battaglia, la sfida, il vento tra gli alberi, la lotta, i terribili colpi dati e ricevuti, e il ritmo incalzante non si ferma mai, fino a quando il ribaldo non giace nel suo sangue e l’eroe se ne va sprezzante. Allora la voce si affievolisce.
Il pubblico più povero e peggio pagante d’Italia fa cadere 5 e 10 lire nelle sue mani unite a coppa[36].
Interessante la seguente osservazione con la quale Lomax abbozza un raffronto tra le figure del folklore siciliano e statunitense:
La storia di Rinaldo ha una grande importanza nell’area di Palermo. Così come, suppongo, Kit Carson e Sam Houston e D. Boone e il cowboy sono popolari da noi. Dopo tutto, Palermo è stata per secoli una città araba e pertanto la battaglia di Rinaldo rappresenta qualcosa di reale per i cittadini[37].
Il viaggio in Sicilia si approssima alla conclusione ma, prima di raggiungere Messina, c’è ancora tempo per un’incursione sui Nebrodi. La destinazione è Mirto, rinomato per le lamentazioni pasquali cantate da un gruppo di cinque o dieci uomini. Nel paesino viene incisa anche una Tarantella eseguita da trombone, mandolino e chitarra, oltre al canto dei raccoglitori di limoni nello stile A la ruggiera, testimonianza della polivocalità caratteristica della zona:
Le registrazioni vennero effettuate nel polveroso e una volta bellissimo giardino della famiglia nobile del luogo. […] La loro casa stava cadendo a pezzi. La loro dieta era un po’ peggio di quella di un hotel economico, vino molto povero, pasta cotta male. Dormivano su dei lettini in una grande stanza, dal momento che la maggior parte delle camere della casa erano inagibili, con l’umidità che macchiava le pareti e i pavimenti[38].
Subito dopo la registrazione Lomax si congeda bruscamente dalla contessa e da Luigi – con cui durante il viaggio erano intercorsi parecchi screzi – e riprende a guidare lungo la costa:
[…] mi fermai sul ciglio della strada e dormii sul sedile per tre ore poi guidai verso Messina, incontrai un cantastorie che risaliva una collina con la bicicletta, la chitarra sulle spalle, un tipo che sembrava davvero stanco. Lo fermai per parlare ma il mio italiano era così cattivo e io avevo un aspetto così terribile che si rifiutò di parlarmi e si rimise a pedalare. Il solo cantante di strada, per la cronaca, che abbia rifiutato dei soldi. Rimasi davvero amareggiato[39].
È il 23 luglio. A Messina lo aspetta il traghetto. In serata, a Bagnara Calabra, s’imbatte in Vittorio De Seta, impegnato nella realizzazione del documentario Lu tempu di li pisci spata. La Sicilia è ormai alle spalle.
4. L’eredità di Lomax
Quando un popolo non ha più
un senso vitale del suo passato, si spegne.
La vitalità creatrice è fatta
di una riserva di passato[40].
C. Pavese
È proprio il futuro regista di Banditi a Orgosolo, paragonando le motivazioni di Lomax alle proprie, a indicare una chiave di lettura di quelle due esperienze esistenziali e professionali partite in tempi e luoghi così diversi e distanti ma in quella circostanza convergenti[41]: entrambi erano mossi dalla consapevolezza che la cultura popolare avesse dignità e valore al pari di quella borghese; entrambi intuivano che la sopravvivenza di quel mondo fosse in pericolo per l’irruzione della modernità e che pertanto le manifestazioni espressive più peculiari dovessero essere “raccolte” perché ne restasse almeno la memoria. De Seta:
Però non avevamo la sicurezza che sarebbe andata così in fretta questa distruzione… ancora non ci si rende conto, però è stata una catastrofe[42].
Gran parte della responsabilità di questa apocalisse culturale è da attribuire all’atteggiamento snobistico dell’intellighenzia italiana dell’epoca e alle scelte nefaste dell’industria culturale e del servizio pubblico radiotelevisivo italiano. Lo stesso Lomax dovette scontrarsi con la boria e i pregiudizi di molti esponenti della cultura “alta” che, pur ignorando del tutto il mondo popolare, giudicavano con diffidenza, quando non apertamente disprezzo, l’interesse verso quelli che consideravano “sottoprodotti culturali”, tutt’al più espressioni isolate – e quindi non rappresentative del contesto d’origine –, o addirittura esiti deteriori dell’imbastardimento di forme culturali borghesi. Carpitella, a tale proposito, fu a lungo impegnato in un’aspra polemica con Massimo Mila. Dal canto suo, Lomax avrebbe ricordato:
Quando facevo ascoltare questa musica ai miei sofisticati amici artisti di Roma, dicevano: «Questa musica non è italiana, è il suono barbaro dell’Africa o di qualche altro posto del genere. Facci sentire il blues[43]».
Nel ’57 Lomax assembla parte delle registrazioni italiane in una doppia pubblicazione per la Columbia: la prima dedicata all’Italia centro-settentrionale e alle comunità albanesi della Calabria, la seconda al Mezzogiorno e alle isole. Nonostante le pressioni e i numerosi tentativi suoi e di Carpitella di convincere varie case discografiche a pubblicare la versione italiana per il mercato locale, ciò avviene solo nel ’73, quando «in un certo senso è ormai davvero troppo tardi: l’ascolto dei long playing rimane confinato all’interno di un tutto sommato ristretto gruppo di addetti ai lavori»[44]. E quando nel 1999 viene varata la pubblicazione dell’edizione critica internazionale su cd da parte della Rounder Records, essa conterrà i contributi dei principali etnomusicologi italiani, ma le loro imprescindibili note saranno paradossalmente disponibili solo in lingua inglese.
Pertanto, mentre in America e nei paesi anglosassoni il lavoro di Lomax e degli altri folkloristi fu presto compreso e recepito e poté ispirare generazioni di musicisti incoraggiandoli a confrontarsi con i suoni della tradizione rinnovandoli e attualizzandoli[45], in Italia, un po’ per l’ottusità e per la miopia di intellettuali e accademie, un po’ per la ricezione supina e acriticamente entusiastica – tipica di un paese sottomesso a un regime criptocoloniale – delle novità provenienti dal mondo anglosassone, un po’ per la dittatura della canzonetta sanremese che ha sempre mostrato una camaleontica capacità di adattamento alla temperie politico-culturale dominante del momento, ciò non è mai accaduto. Curiosamente, l’anno del viaggio di Lomax in Italia, il 1954, corrisponde anche alla prima edizione televisiva del festival di Sanremo. Si leggano le seguenti, lucidissime osservazioni:
Molti musicisti nelle città italiane considerano le canzoni dei loro colleghi di paese con un’avversione sempre più intensa, tanto forte quanto quella che gli afroamericani della classe media provano per le genuine canzoni folk del profondo sud [degli Stati Uniti]. Questi italiani di città vogliono che tutto sia bello – cioè carino, o ingentilito. Pertanto (secondo lo stile di molti dei nostri cosiddetti folk-singers americani che sono attivi nel mondo dello spettacolo) i professionisti della musica folk in Italia lasciano fuori dalle loro esecuzioni tutto ciò che è irritante, che può disturbare o è strano. E la Rai, fedele al suo debito con Tin Pan Alley, trasmette un menu di pop napoletano o di jazz americano un giorno dopo l’altro, nelle ore di maggiore ascolto. È naturale che i musicisti di paese, dopo una certa quantità di esposizione agli schermi della televisione e agli altoparlanti della Rai, possano incominciar a perdere sicurezza nella loro stessa tradizione [46].
È vero che i protagonisti del folk revival italiano tra gli anni ’60 e la metà degli anni ’70 contribuiranno a colmare la lacuna, ma è altrettanto vero che la fruizione di quelle musiche finì per essere in qualche modo elitaria, in quanto recepite per lo più dalle frange più illuminate della borghesia cittadina. Negli ultimi anni il boom dei media digitali per certi versi ha reso possibile la riscoperta e la fruizione di materiali dimenticati o difficilmente reperibili alimentando interessi e passioni individuali, ma per altri ha portato a termine il processo di omologazione culturale intuito da De Seta e poi denunciato da Pasolini, al punto che oggi ascoltare le registrazioni siciliane di Lomax dopo appena settant’anni provoca delle sensazioni schizofreniche: da una parte si sperimenta l’effetto “magico” di trovarsi catapultati in un mondo di presenze fantasmatiche del tutto alieno rispetto all’esperienza quotidiana post-moderna, ma che in qualche strano modo riesce ancora a dialogare con relitti culturali galleggianti in un inconscio collettivo ancestrale di cui siamo sempre più labilmente partecipi; al tempo stesso, scatena una sensazione di amarezza e rabbia per la ricchezza, la varietà e la preziosità di un repertorio di inestimabile valore[47], formatosi in secoli e secoli di passaggi intergenerazionali, travolto nel giro di qualche decennio dai falsi miti dello sviluppo, della modernità e dell’americanizzazione a ogni costo. Così, mentre negli USA il folk, il country e il blues continuano a rappresentare la koiné musicale e la linfa vitale da cui traggono nutrimento gli esiti migliori della nuova canzone americana – penso a songwriters quali Will Oldham, Cat Power, Micah P. Hinson, Howe Gelb, il primo Beck, Adrianne Lenker, Kevin Morby, Jeff Tweedy, Bill Callahan, Katie Crutchfield, Alynda Segarra e tanti altri –, che si muovono nell’ambito di una dialettica tra antico e moderno proficua e foriera di evoluzioni inaspettate, in Italia, dopo una breve stagione inaugurata nei primi anni ’90 da Le radici e le ali della Gang e culminata in opere quali Sanacore 1.9.9.5. degli Almamegretta, Vite perdite e Spiritus mundi di Daniele Sepe, la riscoperta delle radici etniche per una possibile reinvenzione del canto popolare, fortunatamente con poche ma rilevanti eccezioni, è andata verso la brandizzazione a uso e consumo di eventi festivalieri organizzati dalle amministrazioni comunali per promuovere lo sfruttamento turistico del territorio, o tutt’al più verso una mano di colore pittoresco con la quale certi musicisti pop verniciano le proprie composizioni per caratterizzarsi in senso localistico-identitario da esportazione e per soddisfare la fame di “esotico” e di “arcaico” che caratterizza un segmento ben nutrito di consumatori musicali.
Inoltre, osservando le foto scattate dallo stesso Lomax durante quel viaggio, esteticamente sulla scia della straight photography di compagni di strada del New Deal quali Dorothea Lange e Walker Evans, si resta fortemente colpiti dalla grande dignità promanante da quei volti e da quei corpi segnati dalla povertà, dagli stenti e dalle asperità della vita, ma fieri e orgogliosamente consapevoli di sé e del proprio posto nel mondo; mentre oggi il benessere diffuso, l’ossessione per il consumo, l’aspirazione ai feticci della società dello spettacolo hanno, sì, migliorato le condizioni materiali di vita, ma non certo quelle culturali e spirituali. Lomax sosteneva che la canzone fosse nata originariamente come work song, con la precisa funzione di alleviare la fatica del lavoro ma anche di consolidare i legami tra i membri di una comunità. Se ciò è vero, appare comprensibile come ai nostri giorni le classi subalterne, deprivate del proprio linguaggio, appiattite, smarrite e alienate nel grottesco tentativo di emulare modelli pseudo-culturali globalizzati e imposti dall’alto (eppure andrebbe seriamente studiato il recente sdoganamento nazionale di forme espressive tipicamente locali, come la musica neomelodica nelle sue contaminazioni con il pop e la trap), risultino anestetizzate anche dal punto di vista politico.
Recidere il cordone ombelicale tra uomini e luoghi, tra individui e comunità, spezzare il filo intergenerazionale, espropriare i popoli delle proprie forme espressive, ritengo siano stati tra i delitti più atroci commessi dal capitalismo selvaggio, in tutte le sue forme e incarnazioni.
Riappropriarsi – se non altro sul piano della pura conoscenza e diffusione – della sostanza naturalmente antagonista della cultura popolare credo possa essere una forma di resistenza. Un modo per ritrovare il senso del proprio essere-nel-mondo nell’attesa di nuove aperture, di nuove congiunture favorevoli a una ripartenza nel segno dell’umano. Scoprire chi siamo e da dove veniamo per inventare un cammino diverso da quello che turbocapitalisti, tecnocrati, stregoni del digitale e signori della guerra hanno deciso per noi. Senza averci consultati.
FONTI PRINCIPALI:
A. Lomax, L’anno più felice della mia vita. Un viaggio in Italia 1954-1955, Il Saggiatore, Milano 2008 (a cura di G. Plastino).
Il volume contiene anche i seguenti testi: M. Scorsese, Presentazione; A. Lomax Wood, Il doppio solitario; G. Plastino, Un sentimento antico.
The Alan Lomax Collection: Italian treasury. Sicily, Rounder Records, 2000.
Il booklet del cd contiene i seguenti testi: G. Plastino, Italian treasury; S. Bonanzinga, Sicily: the postwar years; G. Plastino, The Sicilian recordings.
Le note alle singole registrazioni sono curate da S. Bonanzinga, M. Geraci, M. Sarica.
J. Szwed, Alan Lomax. The man who recorded the world, Viking Penguin, London 2010, ebook.
[1] La stesura di questo testo, dall’intento divulgativo, non sarebbe stata possibile senza la consultazione delle fonti citate in calce alle quali ho ampiamente attinto – in buona fede e confidando nell’utilità dell’operazione –, trattandosi di testi fuori catalogo, difficilmente reperibili o editi in inglese e mai tradotti in italiano. In quest’ultimo caso le traduzioni sono mie.
Ringrazio inoltre Luca Recupero, fondatore della Lomax World Music School di Catania, che mi ha gentilmente messo a disposizione il fondamentale A. Lomax, L’anno più felice della mia vita. Un viaggio in Italia 1954-1955 (a cura di G. Plastino), Il Saggiatore, Milano 2008, di cui si auspicherebbe la ristampa.
[2] Affermazione tratta dal documentario Lomax the songhunter di R. Kappiers, 2004.
[3] Interview with Alan Lomax 1991, cfr. nota 2
[4] Alan Lomax, proposta alla Guggenheim Foundation, AL, cit. in J. Szwed, Alan Lomax. The man who recorded the world, Viking Penguin, London 2010, p. 638, ebook.
[5] «J. A. Lomax, Adventures of a Ballad Hunter, Macmillan, New York 1947, cit. in J. Szwed, pp. 124-125.
[6] Per farsi un’idea delle condizioni dei prigionieri nelle prigioni del sud può essere utile la visione di I am a fugitive from a chain gang [Io sono un evaso, Mervyn Le Roy, 1932], tra i capolavori del cinema della Depressione, potente atto d’accusa contro la brutalità del sistema carcerario.
[7] Cfr. nota 5.
[8] Per una descrizione di Angola cfr. E. G. Addeo, R. M. Garvin, Lead Belly. Il grande romanzo di un re del blues, Shake Edizioni, Milano 2013, pp. 178-186. Nel capitolo seguente, in forma romanzata, è raccontato l’incontro tra i Lomax e Lead Belly.
[9] «[Guthrie] venne fuori con la chitarra a tracolla appesa alla spalla destra con una striscia di cuoio, come un fucile a portata di mano. Si piantò davanti al microfono, si grattò la testa, e cominciò. A mano a mano che cantava le sue famose ballate dell’Oklahoma, il teatro sembrava riempirsi della presenza di tutta la gente di Woody e del suo Sud-Ovest. Ci faceva vedere la gente di cui parlava, e il suo umorismo ruvido ci faceva sbellicare dal ridere», A. Lomax, cit. in A. Portelli, Canzone politica e cultura popolare in America. Il mito di Woody Guthrie, DeriveApprodi, Roma 2004, p. 165.
[10] Cit. in G. Plastino, Un sentimento antico, in A. Lomax, L’anno più felice della mia vita. Un viaggio in Italia 1954-1955, Il Saggiatore, Milano 2008, p. 18.
[11] Per quanto riguarda la Sicilia, l’archivio disponeva di un centinaio di registrazioni effettuate da Nataletti nel ’48 e da Ottavio Tiby nel ’51-’53. L’ascolto di questo repertorio da parte di Lomax fu importante per la preparazione del viaggio.
Cfr. G. Plastino, The Sicilian Recordings, booklet del cd Italian treasury: Sicily, Rounder Records, Rounder Records, 1999
[12] A. Lomax, Listen, the Hills are Singing!, Santa Cecilia, anno V, no. 4, p. 85 (1956), cit. in G. Plastino, p. 30.
[13] L’accordo prevedeva la realizzazione da parte di Lomax di una serie di otto trasmissioni radiofoniche della durata di un’ora sulle varie regioni d’Italia destinate alla BBC. Egli però avrebbe mantenuto la proprietà delle registrazioni e avrebbe concesso una copia all’Archivio romano di Nataletti. Da una lettera originale depositata presso il BBC Written Records Archive, ivi, p. 17.
[14] Proprio in quell’aprile del ’54 Carpitella e De Martino erano stati impegnati in una campagna di rilevamenti sonori presso le comunità arbëreshe della Calabria, cfr. A. Ricci, R. Tucci (a cura di), Musica arbëreshe in Calabria. Le registrazioni di Diego Carpitella e Ernesto De Martino (1954), Squilibri, Roma 2006.
[15] J. Szwed, pp. 822-823.
[16] M. Agamennone, cit. in G. Plastino, p. 76.
[17] G. Plastino, p. 77, nota 67.
[18] Nel periodo trascorso in Sicilia Lomax e Carpitella realizzarono più di 160 registrazioni. Qui si prendono in considerazione solo le 29 edite nel cd Italian treasury: Sicily, Rounder Records, cit.
[19] Cit. in G. Plastino, The Sicilian Recordings, booklet del cd Italian treasury: Sicily, cit.
[20] Dal quaderno di A. Lomax, cit. da S. Bonanzinga nel booklet del cd Italian treasury: Sicily.
[21] A. Lomax, L’anno più felice della mia vita. Un viaggio in Italia 1954-1955, p. 90
[22] Cfr. nota 19.
[23] Ibid.
[24] «Mi scuordu, mi scurdà, scurdatu sugnu / mi scuordu di la stessa vita mia […]».
[25] A. Lomax, L’anno più felice della mia vita. Un viaggio in Italia 1954-1955, p. 35.
[26] Ivi, p. 94.
[27] A. Lomax, lettera a «Felice», cit. in G. Plastino, p. 41.
[28] M. Sarica, note dal booklet del cd Italian treasury: Sicily, cit.
[29] Tale informazione non è esatta. Strano si ammalò di artrite reumatica durante il servizio di leva in Marina nel 1924, cfr. T. Bella, Orazio Strano, «Il Cantastorie», n. 19, marzo 1976, pag. 3.
[30] A. Lomax, L’anno più felice della mia vita. Un viaggio in Italia 1954-1955, p. 101.
[31] M. Geraci, note dal booklet del cd Italian treasury: Sicily, cit.
[32] Ibid.
[33] M. Geraci, cit.
[34] Cit. nel booklet del cd Italian treasury: Sicily, cit.
[35] S. Bonanzinga, cit.
[36] A. Lomax, L’anno più felice della mia vita. Un viaggio in Italia 1954-1955, pp. 106-107.
[37] Ivi, p. 109.
[38] A. Lomax, L’anno più felice della mia vita. Un viaggio in Italia 1954-1955, p. 112.
[39] Ivi, pp. 112-113.
[40] C. Pavese, Il mestiere di vivere, Einaudi, Torino 2000, p. 155.
[41] Tra Lomax-Carpitella e De Seta intercorsero anche degli scambi di registrazioni.
[42] Cfr. nota 2.
[43] Lomax, cit. in G. Plastino, p. 55.
[44] Ivi, p. 50.
[45] Brian Eno ha scritto che «senza Alan Lomax forse non ci sarebbe stata l’esplosione del blues e nemmeno Beatles, Rolling Stones e Velvet Underground», note di copertina di The Alan Lomax Collection.
[46] A. Lomax, Saga of a folkhunter, «Hi-Fi/Stereo Review», vol. 4, n. 5, 1960, pp. 40-46, cit. in G. Plastino, pp. 50-51.
[47] «L’Italia, tra tutti i paesi dell’Occidente, ha la storia di canti popolari più completa», in A. Lomax, Selected writings 1934-1997, Routledge, London-New York, 2003, p. 118, a cura R. D. Cohen.
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