E' stato pubblicato sulla prestigiosa rivista Galpin Journal di Edimburgo uno studio curato da Riccardo Gandolfi, Valter Biella e Claudio Gnoli dal titolo:
Uno studio comparato sulle cornamuse e le bombarde dell'Appennino Settentrionale
pubblichiamo un ampio riassunto a cura di Valter Biella.
Per chi fosse interessato all'articolo in lingua originale completo di foto e immagini può scrivere direttamente a :
Uno studio comparato sulle cornamuse e le bombarde dell'Appennino Settentrionale
( estratto/riassunto e linee guida della relazione)
La presenza di cornamuse nel nord Italia è già documentata dal tardo Medioevo: vi sono una grande quantità di fonti iconografiche, in gran parte non classificate.
Nell'area montana che circonda la Pianura Padana possono essere identificati quattro tipi di cornamusa, in base ai reperti ed alle tradizioni giunti sino a noi:
• la cornamusa della Provincia di Bergamo ( a nord est di Milano ), conosciuta come la pia o baghèt, 1
• la cornamusa dal Canton Ticino ( una zona appena al di là del confine con la Svizzera ), 2
• la cornamusa dell'Appennino Emiliano ( principalmente nelle province di Parma e Piacenza ) nota come la piva, 3
• la cornamusa dalla zona quattro province ( comprese le alte valli appenniniche delle Province di Genova, Alessandria, Pavia e Piacenza ), conosciuta come la musa e utilizzata principalmente per
accompagnare la bombarda locale o piffero.4
La cornamusa della Provincia di Bergamo è documentata da sette strumenti tra quelli completi e quelli incompleti. Questa tradizione musicale è ampiamente descritta: l'ultimo suonatore conosciuto, Giacomo Ruggeri di Casnigo, passò la sua conoscenza riguardo diteggiatura, intonazione e repertorio a Valter Biella, che lo ha registrato, documentato questo patrimonio e misurato tutti gli oggetti rimasti.
La cornamusa dal Canton Ticino è documentata da un singolo chanter superstite e non è stato conosciuto nessun suonatore tradizionale.
La nostra principale attenzione si è concentrata sugli esemplari storici di piva e musa, poiché questi strumenti non sono stati ancora pienamente documentati, così come per gli esemplari di piffero più antichi.
I chanter di piva e musa sono abbastanza simili avendo solo sette fori per le dita realizzati lungo il chanter, senza il foro posteriore per il pollice.
Il piffero è una bombarda con otto fori per le dita, tra cui un foro per il pollice, con l'ancia montata su una piroutte di legno estraibile.
Metodologia
Tutte gli esemplari antichi di piva, musa e piffero a cui si è avuto accesso sono stati misurati e fotografati. Il profilo dell'alesatura interna è stata ricavato grazie a una serie di calibri assiali montati su di un' asta che ne misura la profondità di inserimento.
I chanter originari sono stati provati inserendoli in una sacca, a sua volta collegata ad un manometro, per manstenere il più possobile costante la pressione a cui lavorano le ance.
I pifferi originali sono stati testati da Fabio Paveto ( nato nel 1986), esperto suonatore.
La documentazione fotografica degli strumenti è stata ricavata dallo scatto di una serie di foto fatte da una distanza fissa di 120 cm. La fotocamera è stata montata su un treppiede dotato di uno scorrimento a slitta parallelo al suolo. Le foto sono state poi riunite assieme utilizzando un software che ha prodotto una immagine digitale a bassa distorsione dell'intero strumento.
Le pive
La piva è una cornamusa con due bordoni, un chanter con sette fori per le dita e senza il foro posteriore per pollice. La sua sacca era ricavata da una pelle intera conciata di capra o di pecora.
Riguardo a questo strumento esistono una serie di fotografie e alcuni articoli della stampa locale riguardanti il XX secolo, e nella provincia di Parma gli ultimi suonatori sono scomparsi nell'ultima parte del ventesimo secolo
I dipinti noti che mostrano la piva datano principalmente a partire dalla seconda metà del XIX secolo e sembrano rappresentare strumenti molto simili a alcuni di quelli che sono stati qui studiati. Tra le raffigurazioni vi è un dipinto di Pietro Melchiorre Ferrari (1735-1787) datato circa1750 a cui si aggiunge in un dipinto inedito ( archivio V.- Biella) del 1654 di Bernhard Keil conosciuto come Bernard Keilhau (1624-1687) (Figura 1)5.
Ci sono circa 15 pive superstiti, o parti di esse, sparse tra varie collezioni private e musei; noi abbiamo avuto accesso a nove di loro:
(1) 5 strumenti ( tra completi e non) nella Fondazione Museo Ettore Guatelli, Ozzano Taro, Provincia di Parma
(2) 2 strumenti ( completi e non) della collezione privata di Ettore Losini "Bani", suonatore di piffero ancora attivo e originario di Bobbio, Val Trebbia, Provincia di Piacenza
(3) i soli bordoni della collezione privata di Emilio Sartori, Terenzo, provincia di Parma:
(4) 1 chanter di piva della collezione privata di Donato Porta, Medesano, provincia di Parma:
In aggiunta a questi oggetti, si è fatto riferimento ad altri tre esemplari documentati e descritti in bibliografia: la piva completa suonata da Giovanni Jattoni, la piva completa trovata a Montecchio, Reggio Provincia Emilia, la piva completa suonata da Domenico Garilli, di Mareto..
Dalle nostre analisi degli strumenti esistenti, è possibile dividerli in due gruppi principali, caratterizzati da due diverse morfologie: i chanter caratterizzati da un marcato spessore del legno, da noi chiamati chanter di piva a parete-spessa, e gli altri con un chanter di piva a parete-sottile.
Chanter a parete-spessa
In questo gruppo sono raggruppati gli oggetti catalogati A57, A11, L3, L4, A10 (e forse X3 ) caratterizzati da chanter con pareti- spesse e alloggiamento per l'ancia a forma di imbuto, in gran parte provenienti dall' Appennino piacentino ( Figura 2 ). Purtroppo non è rimasta per il chanter nessun ancia originale.
I tre chanter L3, L4 e A11 sono molto simili sia per la tornitura, per il profilo del foro e il posizionamento dei fori per le dita, e possono essere considerati un sottogruppo. I fori per le dita sono relativamente piccoli e dopo la perforazione iniziale sono stati ampliati utilizzando un ferro rovente, come suggerito dalla superficie interna annerita.
La piva X3 potrebbe essere considerata un ulteriore membro di questa sottogruppo, anche se non abbiamo avuto l'opportunità di studiarla direttamente.
È importante sottolineare che il foro conico interno di tutti e tre i chanter è caratterizzato da una serie di piccoli gradini o segni di utensili, suggerendo che probabilmente sono stati fatti utilizzando diversi utensili di diametro crescente, piuttosto che un singolo alesatore. Inoltre, se si sovrappone il profilo dei fori dei tre chanter A11, L3 e L4, si capisce che tra loro sono molto simili. Le deviazioni possono essere dovute a differenze nel ritiro del legno, in particolare per quanto riguarda A11 che è stato ricavato da un ramo unico di bosso, mentre L3 e L4 sono stati fatti da bosso spaccato in quarti. (Figura 4)
Tutti i chanter di questo gruppo sono di forma tendenzialmente cilindrica, con una svasatura che va dai fori di ventilazione fino all'estremità inferiore. Le pareti in corrispondenza al foro di ogni dito sono sorprendentemente spesse, circa 8 mm, suggerendo una cornamusa "dalla voce mite". Le somiglianze della tornitura, del profilo del foro interno e del posizionamento dei fori per le dita suggerisce che chi realizzò tutti e tre chanter sia stato lo stesso artigiano, utilizzando lo stesso set di utensili, sulla base di un modello standardizzato e ben consolidato e un comune processo di costruzione. Purtroppo non è stato possibile stabilire una datazione precisa o il possibile costruttore di questi strumenti.
I bordoni della A11 sono conservati assieme ad un esemplare di ancia semplice montata sul bordone basso
La cornamusa A57 differisce dagli altri strumenti a parete-spessa nel suo stile di tornitura, in quanto ha un chanter alesato conico e liscio; entrambe le caratteristiche suggeriscono uno strumento più moderno. Le posizioni dei fori delle dita e di sfiato sono compatibili con gli altri membri di questo gruppo.
Chanter a parete-sottile
Questo gruppo che comprende gli strumenti catalogati A15, A16, chanter P1, bordoni S1, e probabilmente gli strumenti X1 e X2 descritti in bibliografia, includono strumenti con chanter caratterizzato da uno spessore ridotto da noi denominato a parete-sottile, e sede per le ance dritta, provenienti principalmente dall'appennino di Parma ( Figura 7 ). Le ance doppie e tubetti metallici dei relativi chanter sono conservati alla Fondazione Museo Ettore Guatelli e precedentemente erano di proprietà di Lorenzo Ferrari.
Il tubetto era piuttosto lungo, circa 35mm di lunghezza, e a forma di cono. La parte terminale era profondamente inserita nel chanter, con l'estremità più stretta sporgente dallo stesso, tenuta saldamente in posizione da uno stretto avvolgimento di filo. L' ancia doppia era preparata separata dal tubetto, quindi montata inserendo la parte sporgente del tubetto in un canale aperto nel corpo dell'ancia stessa. Questa era ricavata da due pezzi di canna, le canne sono poi unite insieme e raschiate, come quelle utilizzati su alcune gralla 6 spagnole.
I chanter A16 e P1, sono molto simili, e probabilmente sono stati fatti dallo stesso artigiano o dalla stessa bottega ( Figura 8)
La piva completa A15 e il chanter A16 sono stati originariamente posseduti e suonati dalla medesima persona, ed è interessante notare che il profilo del foro il chanter da A15 è molto simile a quello del chanter A16 e P1 .
Intonazione e diteggiatura
(In questa sezioneda pagina 75 a pagina 77 sono state riportate le prove e le ipotesi sulla diteggiatura e sulla intonazione delle diverse pive, con le relative tabelle).
Una diteggiatura semi-chiusa (Figura 10) per i chanter a parete-sottile, utilizzando copie di chanter originali (A 16 e P1) con pressione dell'aria di 30 cm di H2O, ha prodotto una scala maggiore stabile e intonata in g1, con un riferimento A1= 466 HZ.
Al contrario abbiamo scoperto che l'ipotetica diteggiatura chiusa non funziona sui chanter a pareti-spesse, marcando se non altro una diversa caratteristica.
La musa e il piffero
La musa è una cornamusa con un singolo bordone. Il chanter ha sette fori per le dita, senza foro per il pollice posteriore, a cui si aggiungono uno o più fori di intonazione praticati tra i fori diteggiati inferiori ed i due fori di sfiato. Questi fori non sono da chiudersi con le dita, ma potrebbero essere utilizzati come fori di intonazione e parzialmente chiusi con cera d'api, consentendo la rapida sostituzione delle ance. Il piffero è ancora suonato nell'area Appenninica delle Quattro Province, ma oggi è accompagnato dalla fisarmonica che ha sostituito la musa . L'utilizzo del tradizionale abbinamento Piffero - Musa era già in declino dall'inizio del XX secolo, fino a quando non era rimasta una sola coppia costituita da Carlo Agosti ( o Carlon ) e Carlo Musso (o Carlaja, morto nel 1956). Mentre nessuna fonte iconografica raffigura un Musa chiaramente identificabile, sono note immagini di piccole cornamuse con chanter singolo mentre stanno suonando con uno o più bombarde, e sono diffusi in l'Italia settentrionale e in Toscana dal XIV secolo in poi.
Di seguito è riportato un elenco degli oggetti più interessanti a cui abbiamo avuto accesso, riordinati per collezione e provenienza:
(1) Gli oggetti della Fondazione Museo Ettore Guatelli, di Ozzano Taro, in provincia di Parma: 7
• musa completa classificata A13
• chanter di musa classificato A80
• chanter di musa classificato A81
• chanter di musa classificato A82
• bordone di musa classificato A83
• bordone di musa classificato A84
• piffero completo classificato A58
• piffero completo classificato A59
Tutti gli strumenti provengono dai locali della bottega di Nicolò Bacigalupo (1863-1937), che ha lavorato a Cicagna in provincia di Genova. Bacigalupo è stato il più prolifico costruttore di pifferi all'inizio del ventesimo secolo, e ha probabilmente giocato un ruolo chiave nel modificare il piffero in uso. I tre chanter di musa A80, A81, A82 sono state costruiti da lui, mentre la musa completa A13 sembra essere stata usata come modello di riferimento oppure adattata dal Bacigalupo stesso. Il bordone è dritto, privo nella parte terminale del risonatore a coppa, con fori di sfiato nel segmento terminale. È interessante notare che il foro interno si restringe verso l'estremità distale, una caratteristica che sembra fungere da filtro con il compito di ammorbidire il timbro, e svolge il ruolo della cavità mancante.
Tradizionalmente, la musa ha accompagnato un tipo di bombarda conosciuta come un piffero. Questa bombarda manca di qualsiasi chiave ed è realizzata in due pezzi: un corpo con otto fori per le dita, tra cui un foro per il pollice posteriore, ed una campana svasata . I due pezzi sono tenuti insieme per mezzo di una ghiera metallica. Non sono state trovate fontanelle o dispositivi simili. Le ance sono montate su una pirouette in legno che è inserita nella corpo dello strumento,
Gli strumenti visionati e documentati sono:
(2) gli oggetti della collezione privata della famiglia Vagge, di Chiappa di Montoggio, provincia di Genova, ritrovati da Claudio Cacco:
• corpo di piffero, classificato V1
• corpo di piffero, classificato V2
• musa completa, classificata V3
• flauto contralto in Fa di G. M. Anciuti ( del 1720)
(3) gli oggetti conservati presso il Lascito Cuneo, Calvari, provincia di Genova, già precedentemente descritti da C. Ghirardini: 8
• piffero antico completo, classificato C1
• chanter di musa, classificato C2
• chanter di musa, classificato C3
• clarinetto in fa (all'inizio del XIX secolo) in cinque parti, etichettato C4
• diverse pirouette e ance per piffero, musa, canne e tubetti
• bordone originale (catalogati A83 e A84)
(4) gli oggetti provenienti dalla collezione privata di Roberto Ferrari (B 1965) da Menconico, provincia di Pavia, un suonatore ancora attivo di piffero:
• piffero completo già di proprietà del suonatore Aldo Giacobone (1921-1956), classificato R1
• piffero completo già di proprietà del suonatore Attilio Zanardi (Andrea) (1926-2010), classificato R2
• piffero completo già di proprietà del suonatore Davide Tornari (Dino) (1922-c 2005), classificato R3
Il piffero R1 ha una forma della canna arcaica, simile ai pifferi V1 e V2, che però è stato manomessa; sono infatti ancora chiaramente visibili le tracce lasciate da una sega
(5) Gli oggetti della collezione privata di Ettore Losini (Bani) (n. 1951) di Bobbio, provincia di Piacenza, attivo suonatore e costruttore di piffero:
• piffero completo di Giovanni Stombellini, classificato L1
• piffero completo di Nicolò Bacigalupo, classificato L2
(6) in aggiunta altri due esemplari:
• chanter della musa completa, suonata probabilmente da Giovanni Raffo (Creidöra) (1844 - 1918) e più tardi Carlo Buscaglia, catalogata Y1 9
• musa suonata da Carlo Musso (1873-1956) e catalogata Y2. 10
Non sono noti costruttori storici, mentre è disponibile materiale biografico per tutti i produttori attivi a partire dal XX secolo, tra cui Stombellini (piffero L1) e Bacigalupo. 11 Probabilmente il più significativo è stato Nicolò Bacigalupo, i cui strumenti ed altri oggetti del suo laboratorio sono conservati al Museo Guatelli. Le testimonianze raccontano che abbia riparato strumenti da banda e, di conseguenza, possa aver giocato un ruolo chiave nella modernizzazione del piffero. Gli strumenti A83, A84, C2, C3, C4, F1, F2 rappresentano una transizione per arrivare al piffero di oggi intonato in g1 e risalgono ai primi anni del ventesimo secolo, provenendo soprattutto dalla bottega del Bacigalupo.
Gli esemplari più interessanti
Il piffero V1 e le musa V3 sono particolarmente importanti dal momento che sembrano essere una coppia originale di strumenti: sono entrambi realizzati in ebano, e condividono la stessa provenienza e la tonalità di riferimento. Il piffero V1 (e l'altro piffero dalla medesima raccolta, V2 ) è relativamente lungo e senza una campana, ha i fori di sfiato sul corpo; sono presenti alcuni fori di intonazione, ma sono fuori asse e probabilmente il risultato di successive modifiche. La musa ha subito qualche danno ed è stata mal riparata, mentre un piccolo foro di intonazione praticato tra il foro del dito in basso e i fori di sfiato è quasi certamente una aggiunta successiva. Il bordone è in due pezzi, ma la parte terminale è rotta ed è stata mal riparato con un breve pezzo di tubo di rame . Con questi strumenti è conservata un flauto contralto Anciuti, datato 1720. Si ritiene che tutti questi strumenti siano stati suonati da Angelo Vagge ( 1849-1936 ). I pifferi sembrano essere intonati secondo una scala di F f1, con un diapason di a1 = 432 Hz, e probabilmente avevano la stessa diteggiatura del flauto.
La collezione "Lascito Cuneo" contiene altri importanti strumenti: il piffero C1 (di bosso,
con la campana probabilmente in legno di olivo), è il migliore strumento conservato di questo tipo che siamo riusciti ad esaminare (si veda Figura 12, sezione a colori). Dopo la foratura, i fori per le dita, i fori di sfiato e uno dei due fori di intonazione sembrano essere stati ingranditi con un ferro caldo prima della lucidatura. Negli esperimenti, abbiamo chiuso il foro inferiore di intonazione e ottenuto una scala ben accordata di f1 con un diapason di riferimento di a1 ? 446 Hz.
I due chanters di musa C2 e C3 differiscono leggermente per la lunghezza, ma è probabile che essi possono essere stati utilizzati per accompagnare piffero C1. Entrambi sono in legno di frutto, probabilmente pero, e hanno un attacco per l'ancia cilindrico.
La musa A13 proviene dalla bottega del Bacigalupo: la lavorazione è molto elegante, soprattutto per i segmenti di bordone, e suggerisce una data molto anteriore rispetto al periodo in cui il Bacigalupo stava lavorando . Purtroppo il chanter è crepato ed è stato riparato con filo di ottone, mentre tre piccoli fori di intonazione posti tra il foro più basso delle dita ed i fori di sfiato sono probabilmente aggiunte successive. Nonostante la distorsione causata dalla crepa, la foratura interna del chanter ( come con tutti i chanter di musa che abbiamo esaminato ) appare effettuata con un unico alesatore. Insolitamente, l'attacco per l'ancia è a forma di imbuto. Il bordone è in due pezzi, la parte terminale è priva di ogni tipo di risonatore, e ha tre coppie di fori di sfiato. La coppia più distante dei fori di sfiato sono probabilmente un'aggiunta successiva (in quanto non sono in asse con gli altri, e sono in parte sopra la decorazione ), i fori sembrano essere stati chiusi con cera d'api . La parte terminale del bordone si restringe verso alla fine, come si trova tipicamente in tutti gli altri campioni che abbiamo esaminato.
L'evoluzione del Piffero
Mentre il piffero è suonato ancora oggi, la musa è stata gradualmente sostituita dalla fisarmonica ad iniziare dalla fine del XIX secolo prima che potessero essere raccolte e registrate la informazioni circa la sua intonazione, il sistema di diteggiatura e la tradizione musicale. Anche se è sopravvissuto gran parte del repertorio tradizionale del piffero, lo strumento si presenta oggi modificato, probabilmente in risposta al cambiamento dello strumento partner. Gli strumenti storici, che sono senza marchio e senza data, misurano circa 55 centimetri di lunghezza totale e sono intonati in F, da f1 a g2 e un pitch con a1 = 432 - 446Hz . Presentano una coppia di fori di sfiato sul corpo principale dello strumento e due coppie di fori supplementari sulla campana, e ci sono anche fori di intonazione sotto i fori delle dita. Questa disposizione ha una sorprendente somiglianza con il "discant Schalmein " o ciaramella discanto illustrata da Michael Praetorius di Syntagma Musicum, anche se la loro lunghezza si trova posizionata tra il "Klein Schalmein" e "discant Schalmein". 12 Al contrario, i moderni esempi di pifferosono lunghi solo circa 40 centimetri, sono strumenti intonati in G, da g1 ad a2 al pitch a1 = 440Hz . Vi sono otto fori per le dita e un foro posteriore per il pollice, più un buco di intonazione immediatamente sotto il foro del dito più basso, che viene mantenuto parzialmente chiuso con cera d'api. La campana èunita al corpo con una ghiera, su di essa sono realizzati due piccoli fori di sfiato e vi sono una coppia aggiuntiva di fori di sfiato sul campana. Non ci sono strumenti con misure intermedie e sembra così che il cambiamento sia stato relativamente brusco, e il risultato dell'esigenza di musicisti che volevano suonare assieme a strumenti più moderni (come clarinetti e fisarmoniche ), normalmente costruiti in tonalità più acute e temperamenti diversi. I due esempi ( F1 e A58) sembrano infatti essere strumenti storici che sono stati accorciati per suonare con una tonalità più acuta ( Figura 14 ).. Ipotizziamo che i nuovi strumenti siano stati basati quindi su questi strumenti accorciati, piuttosto che attraverso un ridimensionamento e la produzione ex-novo e dunque gli strumenti moderni hanno una qualità del timbro molto diverso rispetto alle loro controparti storiche.
Intonazione editeggiatura
(In questa sezione da pagina 80 a 83 sono state riportate le prove e le ipotesi sulla diteggiatura e sulla intonazione delle diverse pive, con le relative tabelle).
Il nostro studio sui chanters di musa storici ha rivelato un grado di uniformità, in particolare per quanto riguarda la lunghezza complessiva e la posizione dei fori delle dita e fori di sfiato ( Figura 15). Il numero e la posizione dei fori di intonazione è più variabile, ma questi sono spesso mal fatti e sono aggiunte successive .
Per la musa non è sopravvissuto nessun sistema tradizionale di diteggiatura e per identificare un metodo praticabile ci siamo affidati ad un'attenta sperimentazione. I test pubblicati sulla musa Y2 che apparteneva a Carlo Musso, 13 probabilmente costruita dal Bacigalupo, hanno dimostrato che con una diteggiatura aperta e l'ancia originale produce una scala di do maggiore con a1 = 440Hz. Con tutti fori per le dita chiusi emette la nota b1; aprendo ogni foro in successione senza ricorrere a diteggiatura chiusa o posizioni a forchetta produce una scala maggiore partendo da c2 fino a b2 . La chiusura di tutti i fori ad eccezione dei più bassi e del più alto produce la nota C3 . I nostri test su vari chanter ha prodotto diversi risultati: nella maggior parte dei casi, la messa a punto è stata molto scarsa, i migliori risultati sono stati ottenuti con i chanter A80, A81 e A82 ( Tabella 3) costruiti dal Bacigalupo nei primi anni di inizio del XX secolo.
Tutti gli altri chanter hanno dato risultati peggiori e, invece di suonare il settimo grado della scala quando si apre il foro più alto, hanno prodotto tutti lo stesso intervallo di tre semitoni come le pive a pareti spesse(Tabella 4 ) .
Abbiamo scoperto che la diteggiatura semi-chiusa non funziona su tutti i chanter e che, con i fori di intonazione aperti, il suonatore deve usareuna diteggiatura aperta con una posizione a forchetta per produrre il settimo grado (Figura 16). Va sottolineato,comunque, che l'intonazione generale è molto scarsa.
Una volta che i fori di intonazione sono stati completamente chiusi, 14 tuttavia, si ottiene una intonazione globale migliore usando esattamente la stesso sistema di diteggiatura semi-chiusa, come abbiamo identificato per le pive a parete-spessa (Figura 17). I chanter suonano così una scala di Bb maggiore iniziando con Bb 1 e terminando con c2; con il singolo bordone intonato in C la cornamusa suona in modo di DO dorico o in modo di DO misolidio (Tabella 5). Tutti i chanter hanno mostrato una tendenza ad avere il sesto grado crescente e favorire la terza minore, come si trova nelle pive a pareti-spesse.
Abbiamo ottenuto le seguenti intonazioni; con pressione di esercizio misurata a circa 35 centimetri di H2O :
A13 a1 = 430Hz
V3 a1 = 436Hz
C2 a1 = 446 Hz
C3 a1 = 443Hz
Le coppie Piffero e Musa V1 + V3 e C1 + C2 sono state suonate eseguendo pezzi dal tradizionale repertorio del piffero, con il bordone intonato su C. Il risultato è stato molto vicino a a1 = 432Hz per V1 + V3, e a1 = 446 per C1 + C2 . Le possibilità musicali di questi accoppiamenti sono mostrati in Figura 18 .
Occorre sottolineare, tuttavia, che il sistema proposto di diteggiatura semi-chiusa non ha funzionato sulle tre muse A80, A81 e A82 ( Figura 19 ) neppure sigillando i fori di intonazione, poiché i fori di sfiato sono molto vicino al fondo del chanter, e la campana sembra essere irrilevante; inoltre, rappresentano l'ultimo stadio evolutivo della la musa prima della sua scomparsa, si può sostenere che questi strumenti sono stati destinati a suonare in una scala temperata maggiore con una settima maggiore, utilizzando una diteggiatura aperta.
È quindi probabile che il modello tradizionale di diteggiatura era del tipo semi-chiuso, ma che poi degenerò nel più semplice tipo aperto con i fori di intonazione in tutto o in parte aperti, per cercare di forzare lo strumento a suonare una scala con un temperamento moderno.
Lo stile insolito del bordone della musa ( Figura 20 ) merita qualche commento; è particolarmente interessante confrontare questo strumento con la cornamusa descritta assieme agli oboi di Poicteau in Mersenne del Harmonie Universelle ( Parigi, 1636). L' incisione inclusa nella discussione di Mersenne, sotto il titolo "Proposition XXXIV " raffigura una cornamusa con un bordone in due parti simile a quello della musa, senza risonatore a coppa all'estremità.15 Questo bordone non ha raffigurati i fori di ventilazione presenti sulla musa. Mentre tutti i bordoni che abbiamo esaminato hanno singole ance, quello raffigurato da Mersenne ha una doppia ancia, suggerendo che questa potrebbe essere stata la configurazione originale anche per la musa.
Le ancedoppie della musae del piffero sono costruite su un mandrino, poi inserito nella base, in un modo simile alle pive a pareti-sottili. Non è stato possibile determinare quale metodo è stato utilizzato perle pive a pareti-spesse ma la limitata distribuzione geografica di questi strumenti suggerisce che potrebbe esserestato utilizzato lo stesso tipo di ance.
L'identificazione delle caratteristiche di muse e pive a pareti-spesse suggerisce fortemente che possano essere ricondotte alle stessa cultura e tradizione, infatti, la distinzione appare solo negli idiomi e nei dei dialetti, mentre i documenti disponibili dalla fine del XVI secolo descrivono la musa come strumento solista. 16A prescindere dai loro bordoni, la musa e la piva differiscono solo nelle loro dimensioni. La piva potrebbe infatti essere accompagnato da una bombarda tenore con chiave in c, del tipo rappresentato nel dipinto I pifferai di Bernardo Strozzi da Genova ( 1581 - 1644). Il chanter A10 sembra essere uno strumento intermedio tra la piva e la musa: le sue caratteristiche arcaiche suggeriscono che esso sia antecedente agli esemplari di musa esaminati, ed è possibile che la musa si sia evoluta dalla piva a pareti spesse, in particolare per accompagnare una bombarda discanto.
I chanter di baghèt e musa sono di lunghezze simili e il posizionamento dei fori delle dita hanno molto in comune. Mentre il baghèt ha un foro posteriore per il pollice che è assente sulla musa, è possibile che questi due cornamuse una volta appartenessero allo stesso patrimonio musicale, ma le differenze di uso hanno causato aggiustamenti e modifiche diverse.
Didascalie delle figure:
Figura 1. Schizzo a mano libera che mostra la riproduzione di un musicista di piva, dal dipinto di Bernard Keilhau (1624-1687), proprietà privata (disegno di Valter Biella).
Figura 2. Chanter a pareti-spesse (disegno di Valter Biella).
Figura 4. Profili dell'alesaggio di tre chanter a parete-spessa, A11, L3 e L4, costruiti probabilmentedallo stesso artigiano. (disegno di Valter Biella).
Figura 5. Confronto dei bordoni di pive a parete-spessa (disegno di Valter Biella).
Figura 6. Profilo interno del chanter A10 (disegno da Valter Biella).
Figura 7. Chanter a pareti-sottili (disegno di Valter Biella).
Figura 8. Profili dei chanter di piva A16, P1 e A15, probabilmente fatti dallo stesso artigiano (disegno di Valter Biella).
Figura 9. Bordoni di pive a pareti-sottili (disegno di Valter Biella).
Figura 10. Diteggiatura semi-chiusa utilizzata su pive a pareti-sottili (disegno di Valter Biella).
Figura 11. Diteggiatura semi-chiusa per chanter a pareti-spesse (disegno di Valter Biella).
Figura 14. Il confronto di due pifferi non modificati ( V1 e C1) con esempidi strumenti accorciati mostrano un'eccellente correlazione delle posizioni dei fori delle dita (disegno di Valter Biella).
Figura 15. Confronto dei chanter storici di musa non attribuibili a Nicolò Bacigalupo (disegno di Valter Biella).
Figura 16. Sistema diteggiatura aperta consigliata per i chanter di musa con fori di accordatura aperti (disegno di Valter Biella).
Figura 17. Sistema di diteggiatura semi-chiuso per i chanter di musa (disegno di Valter Biella).
Figura 18. Il possibile abbinamento musicale per piffero e musa suonati insieme (disegno di Valter Biella).
Figura 19. Tre chanter di musa dei primi del Novecento A80, A81 e A82, attribuiti a Nicolò Bacigalupo (disegno di Valter Biella).
3Bruno Grulli, "La piva: la cornemuse du Nord de l’Italie", in Modal V (1984), pp.12–21; Roberto Leydi, La zampogna in Europa (Como: Nani-Autunno musicale, 1979); Roberto Leydi e Febo Guizzi, Strumenti musicali e tradizioni popolari in Italia (Roma: Bulzoni, 1985).
4Il piffero è l'unica bombarda descritta nel Nord Italia, è ancora suonata da più persone e sono ancora attivi un certo numero di costruttori. Per ulteriori informazioni, si veda Febo Guizzi, "Note organologiche sul piffero della montagna pavese", in Roberto Leydi, Bruno Pianta e Angelo Stella, Pavia e il suo territorio (Milano: Silvana, 1990), pp.441–460.
5Bernhard Keil (conosciuto anche come Bernard Keilhau) (1624–1687), Lo zampognaro, collezione privata, riprodotto in "L’eco di Bergamo", Dicembre 1998.
6Il gralla è uno strumento tradizionale catalana a doppia ancia. Anche se un membro della famiglia dell'oboe, le canne sono spesso preparato da intaglio i pezzi e che non fanno loro su un mandrino.
8Cristina Ghirardini, "Gli strumenti di Nicolò Bacigalupo detto u Grixiu di Cicagna e i ritrovamenti di Calvari e Montoggio", in "Il piffero in Fontanabuona, Quaderni del Lascito Cuneo II" (Calvari: Comune di San Colombano Certenoli, 2007), pp.5–40.
11Gnoli-Paveto, "U messié Draghin: ricerche sui grandi pifferai dell’Ottocento", in Paolo Ferrari ed altri, Chi nasce mulo bisogna che tira calci (Cosola: Musa, 2007).
12Si veda la tavola 11, "bombarde e cornamuse", in Michael Praetorius, Syntagma Musicum II De Organographia parti I e II, Early Music Series 7, trans. e ed. David Z. Crookes (Oxford: Clarendon Press, 1986).
13Febo Guizzi, Guida alla musica popolare in Italia - 3. Gli strumenti (Lucca: Libreria Musicale Italiana, 2002), p.231.
14Abbiamo provato con il sistema di diteggiatura semi-chiuso con i fori di intonazione solo in parte chiusi, ma questo si è rivelato unsuccessfull.
15Marin Mersenne, Harmonie Universelle: The Books on Instruments, traduzione Roger E. Chapman (The Hague: Martinus Nijhoff, 1957), figura 72, p.381.
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