Virginio Ruffini
LA MIA PRIGIONIA
Lega di Cultura di Piadena – 2016- pp. 80 s.i.p.
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Dopo l’armistizio, l’8 settembre 1943, soldati e ufficiali italiani vennero posti davanti alla scelta di continuare a combattere nelle file dell'esercito tedesco o, in caso contrario, essere inviati in campi di detenzione in Germania. Solo il 10 per cento accettò l'arruolamento. Gli altri vennero considerati “prigionieri di guerra”. In seguito cambiarono status divenendo “internati militari” per non riconoscere loro le garanzie della Convenzione di Ginevra e, infine, dall'autunno del 1944 alla fine della guerra, “lavoratori civili”, in modo da essere sottoposti a lavori pesanti senza godere delle tutele della Croce Rossa. Della vicenda degli Internati Militari Italiani si continua a parlare poco. Ricordare la loro Resistenza e le grandi sofferenze a cui furono sottoposti nei lager nazisti in Germania è un dovere civico. La Lega di Cultura di Piadena ha risposto a questo impegno pubblicando “La mia prigionia” libro-diario testimonianza dell’esperienza di Virginio Ruffini con le lettere di Giulio Seniga di Calvatone (CR). Nell’ottobre 1943 l’artigliere Virginio Ruffini, Giulio Seniga insieme ad altri commilitoni furono stipati su vagoni chiusi, trasportati in Germania e dopo vari passaggi in campi di smistamento, vennero assegnati, come schiavi a ditte tedesche. Furono trasferiti in un cantiere a pochi chilometri da Dortmund, nella regione della Ruhr, dove lavoravano per circa 10 ore giornaliere in condizioni inumane. Molti morirono per gli stenti e il diario narra giorno per giorno sofferenze, paure e disgrazie vissute in quei campo di lavoro. Il tempo passa, il lavoro nel cantiere è sempre durissimo e la narrazione descrive l’avvicinamento dell’esercito americano e pian piano il riaccendersi della speranza nella Liberazione. Nel contempo tremendi bombardamenti, panico e orrori erano all’ordine del giorno, costretti a lavorare dai loro aguzzini mentre piovevano le bombe. Nel marzo 1945 il diario descrive la ritirata tedesca, la loro indescrivibile gioia del venerdì santo 1945: giorno della liberazione.
Oltre al diario di Ruffini commuovono le lettere di Giulio Seniga, inviate alla famiglia, accuratamente conservate dal figlio Roberto che ha saputo stimarne il valore storico. Scritti e cartoline sottoposte al vaglio della censura tedesca che l’autore indirizza alla moglie. Teneramente non racconta mai la sua condizione di prigioniero, senza mai far trapelare rammarico o lamentele fa solo richiesta di generi di conforto e notizie sulla famiglia e il figlio.
Il libro è aperto dalla prefazione di Cesare Bermani che inquadra la vicenda e la portata numerica di 56.000 morti degli Internati Militari Italiani. Cifre di una tragica contabilità che evidenzia le scelte fatte per dignità, onore e rifiuto della guerra di moltissimi italiani. Afferma che pubblicare queste testimonianze oggi significa prendere posizione e lottare contro la tendenza a dimenticare i momenti conflittuali della nostra storia. Con questo lavoro di base la Lega di Cultura insieme alle Insegnanti della Scuola Secondaria di Piadena hanno saputo tradurre nella pratica odierna e interpretare ciò che Gianni Bosio nei suoi numerosi scritti, come organizzatore culturale, ha sostenuto e affermato, coinvolgendo i ragazzi e costruendo percorsi didattici con genitori, insegnanti e cittadini.
Aprile 2016
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