Memorie cantate
Guerre e dopoguerra nella cultura orale
dell’Appennino umbro-marchigiano
Le Prata di Nocera Umbra, 16 agosto 2019
La manifestazione, organizzata dall’Associazione Monte Selva”, giunta alla settima edizione, quest’anno cambia pelle. Mentre lo spazio serale rimane dedicato alla esibizione di Marino e Sandro Severini, moderni cantastorie, leaders del noto gruppo The Gang, quello pomeridiano si è rivelato un autentico spazio libero dentro cui far confluire l’esibizione di nuovi informatori.
Insieme alle cantate riemerse in questi ultimi anni, si affacciano così alla scena nuovi generi come la satira (qui Giovanni Bravi propone Il cinghiale e il cacciatore) e le strofe del Cantamaggio nocerino (proponiamo quelle eseguite da Domenico Dominici e Giovanni Bravi).
SPECIALE TELEVISIVO DI TRG TELE RADIO GUBBIO REALIZZATO A MARGINE DELLA MANIFESTAZIONE "MEMORIE CANTATE" CON INTERVENTO DI DINO RENATO NARDELLI dell'ISUC ISTITUTO per la STORIA dell'UMBRIA CONTEMPORANEA
Argelia Mingarelli ci ha lasciato il 9 giugno scorso, dopo 88 anni trascorsi tra le montagne a un passo da Nocera Umbra, Era nata a Sorifa, e di lì si era trasferita poco meno di due chilometri più in là, a Le Prata, in occasione del suo matrimonio. Era vissuta tra i campi, in una famiglia numerosa: sette fra fratelli e sorelle, in casa erano ventuno persone, compresi zii e cugini.
L’ho conosciuta in occasione di una ricerca, promossa dall’Istituto per la storia dell’Umbria contemporanea sulle cantate ancora presenti in quei luoghi impervi dell’Appennino Umbro-marchigiano, sette anni fa. Ero arrivato con una telecamerina e il blocchetto degli appunti, la mattina presto, in una giornata strabordante di sole. Lì mi hanno avvertito che una settimana prima lei aveva perduto l’ultima delle amatissime sorelle; di fronte al mio diniego, data la situazione, a chiederle di cantare, lei aveva ribattuto: «E che, professo’, nun cantamo? Sei venuto apposta da Perugia…», cominciando, con una voce ancora offuscata dall’emozione e dal dolore: Se il Padreterno a me mi da talento/vorrei continuare un’altra storia/A Castiglioni finì l’argomento/perché di altri non l’avevo a memoria./D’altri paesi son venuti a me/facci anche a noi la stori/che il mondo vol sape’.
Da allora si era rivelata un torrente in piena: con il suo sorriso illuminato da occhi vivaci e penetranti fra le rughe del volto, snocciolava le strofe dolorose che raccontavano una ad una le vittime dei rastrellamenti nazifascisti che avevano imperversato in quelle zone nell’aprile ’44 e quelle rievocanti vicende delle guerre passate; strofe maliziose del Cantamaggio e gli interminabili poemi in ottava rima (la Leggenda di Genoveffa di Bramante era il suo cavallo di battaglia) che lei modulava con una memoria mai esitante. Già, la memoria. Una volta si era presentata con un foglietto battuto a macchina in mano; di fronte alla mia sorpresa, ha spiegato che era stata sua nipote Anna a volerlo redigere per forza, per proteggerla; a lei non serviva di certo. Da quel giorno il foglietto era diventato inseparabile, più per affetto che per necessità.
Argelia amava raccontare. Lo faceva con gioia di fronte al microfono del ricercatore e in mezzo ai ragazzi e alle ragazze che giungevano a Le Prata per i Laboratori di storia organizzati dall’Isuc. Appena il pullman degli studenti era sgusciato fra le case del borgo, la sua figuretta compariva in fondo al viottolo, sempre ordinata, sempre tirata a lucido. «Professo’, oggi cantamo»? Si posizionava fra quei giganti che spesso la sopravanzavano di mezzo metro in altezza, li salutava, chiedeva da dove venissero, e cominciava. Io pretendevo che l’eventuale passaggio di memoria fosse spontaneo: erano stati preparati foglietti con i testi delle cantate e ogni volta invitavo i ragazzi a unirsi al canto solo se lo avessero voluto. Argelia partiva, con la sua memoria di ferro; alla prima strofa loro restavano perplessi, alla seconda c’erano sempre quei quattro o cinque che iniziavano, alla terza un coro commovente prendeva sempre più corpo nel silenzio variopinto della montagna. Gli occhi di Argelia allora si illuminavano, densi di compiacimento e di complicità. Ogni tanto si fermava, a spiegare il significato di qualche parola che a lei pareva poco comprensibile, incurante del fatto che magari quei ragazzi provenissero dal Classico. Era anche quella una maniera per gioire della condivisine. Gli studenti avevano fatto crocchio introno a lei e alla fine volevano abbracciarla, qualcuno osava un bacio sulla guancia. Lei non si sottraeva, contraccambiava, si avviava a passo lento, sorretta dal’immancabile bastone verso il pugno di case scagliato contro la parete rocciosa, lasciando dietro di sé una scia profumata che sapeva di buono.
Argelia, in greco argheìa. abbagliante, come il suo sorriso. Ci piace immaginarla Lassù proprio così, profumata, gioiosa, sorridente, intenta ad esprimere ancora, con chi incontra, la sua voglia di raccontare agli altri le sue storie.
Dino Renato Nardelli
Come redazione de Il Cantastorie on line avevamo conosciuto Argelia Mingarelli in occasione della quarta edizione di "Memorie Cantate" nell'agosto 2016. Una donna aperta, amante della vita e del canto popolare con un vasto repertorio di canti e ballate che ci aveva da subito affascinato. Avevamo registrato alcuni brani già pubblicati sul sito e che ora riproponiamo ricordandola con affetto.
https://www.rivistailcantastorie.it/argelia-mingarelli/
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